La Storia
Gli antefatti: "uniamoci ed intendiamoci"
La storia della Famiglia Artistica comincia nel marzo del 1872.
In quegli anni, a Milano, esisteva già una società che riuniva gli artisti: di fondazione antica, 1845, la Società degli Artisti, rappresentava l'organo di rappresentanza e identario della classe artistica milanese. Negli anni turbolenti che seguono l'unificazione nazionale, tuttavia, difficoltà di ordine economico e pratico avevano condotto ad un lento declino dell'antico sodalizio e i giovani che ne facevano parte, animati dalla necessità di una maggiore incisività d'azione e da nuove motivazioni sociali, culturali e politiche, non si riconoscevano più nella fisionimia della Società degli Artisti.
Come sempre accade, un evento causò la definitiva rottura: il 10 marzo 1872 moriva Giuseppe Mazzini. Malgrado l'evento luttuoso - in un clima ancora sensibile ai sentimenti di orgoglio risorgimentale - il Club non cancellò uno dei suoi celebri risotti mascherati, feste carnacialesche dove gli artisti e i soci si ritrovavano tra balli e facezie. Il giovanissimo Vespasiano Bignami, futuro fondatore della Famiglia Artistica, decise di manifestare tutto il proprio sdegno per la "profanazione" del lutto nazionale inviando una lettera al quotidiano milaese Il Secolo. Veniva così posta la prima pietra per la fondazione della Famiglia Artistica.
Il risotto Masquè di sabbato e il Club degli Artisti
Lo sdegno che provammo per la festa al Club degli Artisti, che profanò sabbato il lutto nazionale [per la morte di Mazzini], ci dettò amare parole sulla odierna condizione dell’arte nostra. È un fatto che i grandi avvenimenti computi da dodici anni a questa parte invece d’infondere all’arte una nuova vita, di accrescere colla libertà, dell’ispirazione la sua dignità, le hanno impresso un marchio di inane fiacchezza lampeggiata qua e là da poche opere egregie, ma che non fanno scuola. Quali ne siano le cagioni noi le indicammo; la mancanza di studio e quindi l’assenza di quell’alta e nobile ispirazione che si traduce nelle opere. e la prova pur troppo la vedremo all’Esposizione nazionale che quest’anno si terrà. L’aspro biasimo che abbiamo inflitto all’arte lunedì, non fu ispirato alla sterile soddisfazione di farci severi censori, ma bensì dal desiderio di vedere migliorare l’arte e gli artisti mostrandone tutta la presente abbiezione, per noi italiani tanto più amara inquantoché fummo altre volte i prediletti figli dell’arti tutte. Quelle parole furono però giustamente interpretate dai veri artisti, e siamo lieti di pubblicare la bella lettera del pittore Vespasiano Bignami, al quale ci uniamo nel nobile eccitamento che indirizza ai suoi fratelli nell’arte. Aggiungiamo che il signor Bignami doveva far rappresentare un suo spiritoso scherzo al Risotto Masquè ma appena seppe che volevasi fare sabbato sera, lo ritirò immantinente, mandando a monte arte dei divertimenti che erano già nel programma del Risotto. Molti altri artisti si associarono al Bignami, rifiutando di intervenire ala festa. Ecco la lettera
«Gli artisti in questa società che da loro si intitola rappresentano alla lettera i rari nantes in gurgite vasto. La gran maggior parte dei soci si compone dei cosiddetti amatori, i quali non so fino a qual punto giustifichino coi fatti questo vago appellativo. – Certo non si commette imprudenza assicurando che una gran parte di essi sentono per l’arte un amore scrupolosamente platonico. Il sovrapporsi lento e continuo di questo elemento, ha mutato poco a poco forma e carattere alla Società, ed agli stessi artisti che ne fanno parte da tanti anni accade come a coloro che si bagnano seduto alla riva del mare, i quali si trovano, dopo un certo tempo, lontani dal punto in cui si sono posti senza aver potuto avvertir l’impulso dell’onda che li ha trasportati.
Al profilo mobile e ridente di un gruppo di artisti, si è sostituita la faccia simmetrica e compassata di un’accolta d’uomini d’affari, e la chioma azzimata e scriminata ha supplantato la gaia scapigliatura. Un piccolo gruppo di amici, per metà raccolto al di fuori della Società, si riunisce ed organizza una volta all’anno quelle veglie umoristiche che sono note sotto il titolo di Risotti Masqués. È un lampo di vita spensierata che svanisce ai primi chiarori dell’alba. La serietà torna col sole, ma con essa non torna la vita. Una associazione che si intitola all’arte deve vivere per l’arte, parlare, muoversi per essa e con essa. Ora questo non avviene punto o troppo scarsamente.
L’unico tratto caratteristico per l’arte che duri tuttavia, è la scuola invernale del costume, per la quale la Società fornisce il locale, il riscaldamento e la e la luce, lasciando però ogni altra spesa a carico dei soci che intendono frequentarla. Con quanta giustizia si fosse ciò fatto non saprei dire, ma con qual risultato lo disse chiaro l’abbandono in cui cadde la scuola; tanto che a rianimarla si decise da due anni a questa parte di ammettervi anche i non soci, tassandoli di una quota maggiore degli altri… e tutto questo sta bene. Tale determinazione fu accolta con piacere dagli estranei alla società che vi sarebbero accorsi più numerosi, ove fosse stato conciliabile con la ristrettezza del locale a ciò destinato; e questo mostrò che v’ha al di fuori della Società un certo numero di giovani i quali se non ne hanno da gettar via, non mancano però di buona volontà; e quando si offre loro il modo di accomunarsi utilmente di gran cuore l’accettano.
La Società degli Artisti quale è ora non risponde ai sentimenti ed ai bisogni della gioventù, e penso che se il suo elemento vi avesse predominato, non si dovrebbe oggi trangugiare il biasimo che si riversa sulla nostra classe per l’inopportuna festa di sabato scorso. Le ragioni che trattennero sempre, al pari di me, molti altri colleghi, dall’aggregarsi a questa Società, e che indussero varii ad uscirne, diedero argomento a molte e lunghe discussioni ed a numerose proposte cadute tutte finora nel vuoto. Non sarebbe venuto ora il momento di raccoglierle e studiarle, col proposito di tradurle in atto? I tempi camminano, e bisogna affrettarsi con essi. Quest’anno la nostra città sarà il teatro delle serene lotte dell’arte; e noi altri vi assisteremo inoperosi ed inscienti schiacciando ogni buon germe di miglioramento sotto la pesante indifferenza dissimulata dal gaio ammanto di una facile disinvoltura.
Uniamoci ed intendiamoci.
La nuova epoca segna agli artisti nuovi doveri, poiché l’arte è una delle vestali della civiltà.
Io dirigo queste mie parole a tutti gli artisti milanesi, fidando che il mio debole grido non venga frainteso, e che tutti ambiscano di meritare la lusinghiera esclamazione di Guerrazzi:
“Quando ti senti l’occhio stanco dalla diuturna contemplazione delle miserie umane, volgilo sopra un artista, in ispecie giovane, e lo riposerai” »
V. Bignami
(lettera tratta da: Vespasiano Bignami, il Risotto Masqué di Sabbato e il Club degli Artisti, in Il Secolo, Anno VII, n. 2122, giovedì 21 marzo 1872)
In quegli anni, a Milano, esisteva già una società che riuniva gli artisti: di fondazione antica, 1845, la Società degli Artisti, rappresentava l'organo di rappresentanza e identario della classe artistica milanese. Negli anni turbolenti che seguono l'unificazione nazionale, tuttavia, difficoltà di ordine economico e pratico avevano condotto ad un lento declino dell'antico sodalizio e i giovani che ne facevano parte, animati dalla necessità di una maggiore incisività d'azione e da nuove motivazioni sociali, culturali e politiche, non si riconoscevano più nella fisionimia della Società degli Artisti.
Come sempre accade, un evento causò la definitiva rottura: il 10 marzo 1872 moriva Giuseppe Mazzini. Malgrado l'evento luttuoso - in un clima ancora sensibile ai sentimenti di orgoglio risorgimentale - il Club non cancellò uno dei suoi celebri risotti mascherati, feste carnacialesche dove gli artisti e i soci si ritrovavano tra balli e facezie. Il giovanissimo Vespasiano Bignami, futuro fondatore della Famiglia Artistica, decise di manifestare tutto il proprio sdegno per la "profanazione" del lutto nazionale inviando una lettera al quotidiano milaese Il Secolo. Veniva così posta la prima pietra per la fondazione della Famiglia Artistica.
Il risotto Masquè di sabbato e il Club degli Artisti
Lo sdegno che provammo per la festa al Club degli Artisti, che profanò sabbato il lutto nazionale [per la morte di Mazzini], ci dettò amare parole sulla odierna condizione dell’arte nostra. È un fatto che i grandi avvenimenti computi da dodici anni a questa parte invece d’infondere all’arte una nuova vita, di accrescere colla libertà, dell’ispirazione la sua dignità, le hanno impresso un marchio di inane fiacchezza lampeggiata qua e là da poche opere egregie, ma che non fanno scuola. Quali ne siano le cagioni noi le indicammo; la mancanza di studio e quindi l’assenza di quell’alta e nobile ispirazione che si traduce nelle opere. e la prova pur troppo la vedremo all’Esposizione nazionale che quest’anno si terrà. L’aspro biasimo che abbiamo inflitto all’arte lunedì, non fu ispirato alla sterile soddisfazione di farci severi censori, ma bensì dal desiderio di vedere migliorare l’arte e gli artisti mostrandone tutta la presente abbiezione, per noi italiani tanto più amara inquantoché fummo altre volte i prediletti figli dell’arti tutte. Quelle parole furono però giustamente interpretate dai veri artisti, e siamo lieti di pubblicare la bella lettera del pittore Vespasiano Bignami, al quale ci uniamo nel nobile eccitamento che indirizza ai suoi fratelli nell’arte. Aggiungiamo che il signor Bignami doveva far rappresentare un suo spiritoso scherzo al Risotto Masquè ma appena seppe che volevasi fare sabbato sera, lo ritirò immantinente, mandando a monte arte dei divertimenti che erano già nel programma del Risotto. Molti altri artisti si associarono al Bignami, rifiutando di intervenire ala festa. Ecco la lettera
«Gli artisti in questa società che da loro si intitola rappresentano alla lettera i rari nantes in gurgite vasto. La gran maggior parte dei soci si compone dei cosiddetti amatori, i quali non so fino a qual punto giustifichino coi fatti questo vago appellativo. – Certo non si commette imprudenza assicurando che una gran parte di essi sentono per l’arte un amore scrupolosamente platonico. Il sovrapporsi lento e continuo di questo elemento, ha mutato poco a poco forma e carattere alla Società, ed agli stessi artisti che ne fanno parte da tanti anni accade come a coloro che si bagnano seduto alla riva del mare, i quali si trovano, dopo un certo tempo, lontani dal punto in cui si sono posti senza aver potuto avvertir l’impulso dell’onda che li ha trasportati.
Al profilo mobile e ridente di un gruppo di artisti, si è sostituita la faccia simmetrica e compassata di un’accolta d’uomini d’affari, e la chioma azzimata e scriminata ha supplantato la gaia scapigliatura. Un piccolo gruppo di amici, per metà raccolto al di fuori della Società, si riunisce ed organizza una volta all’anno quelle veglie umoristiche che sono note sotto il titolo di Risotti Masqués. È un lampo di vita spensierata che svanisce ai primi chiarori dell’alba. La serietà torna col sole, ma con essa non torna la vita. Una associazione che si intitola all’arte deve vivere per l’arte, parlare, muoversi per essa e con essa. Ora questo non avviene punto o troppo scarsamente.
L’unico tratto caratteristico per l’arte che duri tuttavia, è la scuola invernale del costume, per la quale la Società fornisce il locale, il riscaldamento e la e la luce, lasciando però ogni altra spesa a carico dei soci che intendono frequentarla. Con quanta giustizia si fosse ciò fatto non saprei dire, ma con qual risultato lo disse chiaro l’abbandono in cui cadde la scuola; tanto che a rianimarla si decise da due anni a questa parte di ammettervi anche i non soci, tassandoli di una quota maggiore degli altri… e tutto questo sta bene. Tale determinazione fu accolta con piacere dagli estranei alla società che vi sarebbero accorsi più numerosi, ove fosse stato conciliabile con la ristrettezza del locale a ciò destinato; e questo mostrò che v’ha al di fuori della Società un certo numero di giovani i quali se non ne hanno da gettar via, non mancano però di buona volontà; e quando si offre loro il modo di accomunarsi utilmente di gran cuore l’accettano.
La Società degli Artisti quale è ora non risponde ai sentimenti ed ai bisogni della gioventù, e penso che se il suo elemento vi avesse predominato, non si dovrebbe oggi trangugiare il biasimo che si riversa sulla nostra classe per l’inopportuna festa di sabato scorso. Le ragioni che trattennero sempre, al pari di me, molti altri colleghi, dall’aggregarsi a questa Società, e che indussero varii ad uscirne, diedero argomento a molte e lunghe discussioni ed a numerose proposte cadute tutte finora nel vuoto. Non sarebbe venuto ora il momento di raccoglierle e studiarle, col proposito di tradurle in atto? I tempi camminano, e bisogna affrettarsi con essi. Quest’anno la nostra città sarà il teatro delle serene lotte dell’arte; e noi altri vi assisteremo inoperosi ed inscienti schiacciando ogni buon germe di miglioramento sotto la pesante indifferenza dissimulata dal gaio ammanto di una facile disinvoltura.
Uniamoci ed intendiamoci.
La nuova epoca segna agli artisti nuovi doveri, poiché l’arte è una delle vestali della civiltà.
Io dirigo queste mie parole a tutti gli artisti milanesi, fidando che il mio debole grido non venga frainteso, e che tutti ambiscano di meritare la lusinghiera esclamazione di Guerrazzi:
“Quando ti senti l’occhio stanco dalla diuturna contemplazione delle miserie umane, volgilo sopra un artista, in ispecie giovane, e lo riposerai” »
V. Bignami
(lettera tratta da: Vespasiano Bignami, il Risotto Masqué di Sabbato e il Club degli Artisti, in Il Secolo, Anno VII, n. 2122, giovedì 21 marzo 1872)